In questa domenica Gesù si paragona all vite e noi ai tralci. (Gv 15,1-8) Solo restando uniti a lui possiamo portare frutto. Dio desidera che portiamo molto frutto, che la nostra vita sia buona e bella.
Per i ragazzi
Per gli adulti
Meditazione di Pierbattista Pizzaballa Patriarca di Gerusalemme dei Latini
Domenica scorsa la Parola ci aveva fatto incontrare la parabola del pastore buono: abbiamo visto che il pastore è colui che ha così tanto a cuore il suo gregge da dare la vita per esso.
E abbiamo anche visto che questa vita è salvata tanto quanto è capace di uscire dal recinto in cui il peccato l’aveva rinchiusa, per andare incontro agli altri, ai fratelli, e formare con essi un unico gregge.
Nel brano di Vangelo di oggi (Gv 15,1-8), Gesù utilizza un’altra immagine, quella del vignaiolo, della vigna e dei tralci.
Ciò che colpisce ad un primo ascolto è il termine “frutto”, un termine che ricorre cinque volte (Gv 15,2.4.5.8), e questa frequenza evidenzia la sua importanza: l’agricoltore ha cura della vigna e sa come potarla, ma il fine di questa cura non è tanto il benessere della pianta, quanto il frutto che essa è chiamata a portare.
Non solo. Ma sarà il frutto a giudicare l’effettivo radicamento dei tralci nella vigna: se il frutto non c’è, se la vigna è sterile, allora significa che il tralcio non è attaccato alla vigna, significa che la linfa non scorre.
Mi sembra che il Vangelo oggi tocchi una dimensione profonda della nostra vita: tutti, infatti, desideriamo che la nostra vita non sia sterile, che porti frutto; desideriamo che la nostra vita abbia senso, abbia consistenza, che la nostra vita non finisca con noi.
Ebbene, quando e come accade tutto questo? E anche: quando e come non accade?
Una chiave di lettura potrebbe essere questa: non siamo solo noi a desiderare una vita bella e feconda. Insieme a noi, e anche prima di noi, è Dio stesso a desiderarlo.
Dio desidera per noi una vita buona, proprio come ogni padre lo desidera per i suoi figli.
Ma non basta desiderarlo: la vita, per portare frutto, ha bisogno di alcune condizioni, di un aiuto, di qualcosa che rende possibile la crescita e la fecondità.
E di questi elementi, il Vangelo ne sottolinea alcuni.
Il primo elemento è quello che ruota intorno al termine “rimanere”: un tralcio non può far frutto da solo, senza una vigna che lo faccia vivere.
La prima condizione per una vita piena è sapere che questa vita non è nostra, che ci è data, che possiamo solo accoglierla. La vita cristiana non è un crescere fino a diventare indipendenti, fino al punto di pensare di potercela fare da soli, senza aver bisogno dell’aiuto degli altri, dell’aiuto di Dio.
È esattamente il contrario: la vita cristiana cresce tanto quanto si diventa accoglienti della vita di Dio, tanto quanto si è consapevoli che senza di Lui non possiamo fare nulla (Gv 15,5).
Si tratta allora di rimanere in una vita più grande di noi, nella vita di Dio.
E perché questo accada, la strada è quella di accogliere la Parola, di rimanere in ascolto: Gesù dice infatti che rimaniamo in Lui tanto quanto le sue parole rimangono in noi (Gv 15,7). Se la sua Parola è per noi importante e preziosa, come la parola di una persona amata, se ad essa ci affidiamo, se le diamo credito, allora diventiamo con Lui una cosa sola: abbiamo lo stesso modo di pensare, di vedere, di giudicare la vita.
Gesù aggiunge che se rimaniamo in Lui, allora possiamo chiedere tutto (Gv 15,7). Cosa significa?
Forse significa che se ascoltiamo, se la nostra vita rimane nel Signore, allora scopriamo cosa veramente vale, cosa è quel “tutto” che ci fa vivere.
Scopriamo che non abbiamo bisogno di tutto, ma solo tutto ciò che è bene, per noi e per gli altri
E impariamo pian piano a chiedere questo; questo diventa tutto il nostro desiderio.
Tutto il resto va tagliato, va potato (Gv 15,2). Ed ecco che arriviamo allora al secondo elemento, quello della potatura: la potatura è fondamentale perché un albero porti frutto, e non chiunque può farla. Una persona inesperta può rovinare l’albero e impedirgli di portare frutti buoni.
Perché porti frutto, la vite non ha bisogno di tutti i rami, ma solo di quelli buoni: gli altri tolgono linfa, tolgono vita, e vanno tagliati.
Ebbene, per rimanere nella vita con il Signore è necessario accogliere questa sua continua cura, questo suo provare a liberarci da tutto ciò che dissipa la nostra esistenza.
Tanti sono i mezzi che Lui utilizza per riportarci a quella purezza (Gv 15,3) di vita necessaria per portare un frutto genuino; ma, di nuovo, il più efficace è sempre la Parola, che è come una spada a doppio taglio (Eb 4,12), capace di separare ciò che è vero, autentico, puro appunto, da ciò che non lo è e che, quindi, non porta frutto.
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5° Domenica di Pasqua B: Io sono la vera vite
Pubblicato da Tiziano Raffaini il
In questa domenica Gesù si paragona all vite e noi ai tralci. (Gv 15,1-8) Solo restando uniti a lui possiamo portare frutto. Dio desidera che portiamo molto frutto, che la nostra vita sia buona e bella.
Per i ragazzi
Per gli adulti
Meditazione di Pierbattista Pizzaballa Patriarca di Gerusalemme dei Latini
Domenica scorsa la Parola ci aveva fatto incontrare la parabola del pastore buono: abbiamo visto che il pastore è colui che ha così tanto a cuore il suo gregge da dare la vita per esso.
E abbiamo anche visto che questa vita è salvata tanto quanto è capace di uscire dal recinto in cui il peccato l’aveva rinchiusa, per andare incontro agli altri, ai fratelli, e formare con essi un unico gregge.
Nel brano di Vangelo di oggi (Gv 15,1-8), Gesù utilizza un’altra immagine, quella del vignaiolo, della vigna e dei tralci.
Ciò che colpisce ad un primo ascolto è il termine “frutto”, un termine che ricorre cinque volte (Gv 15,2.4.5.8), e questa frequenza evidenzia la sua importanza: l’agricoltore ha cura della vigna e sa come potarla, ma il fine di questa cura non è tanto il benessere della pianta, quanto il frutto che essa è chiamata a portare.
Non solo. Ma sarà il frutto a giudicare l’effettivo radicamento dei tralci nella vigna: se il frutto non c’è, se la vigna è sterile, allora significa che il tralcio non è attaccato alla vigna, significa che la linfa non scorre.
Mi sembra che il Vangelo oggi tocchi una dimensione profonda della nostra vita: tutti, infatti, desideriamo che la nostra vita non sia sterile, che porti frutto; desideriamo che la nostra vita abbia senso, abbia consistenza, che la nostra vita non finisca con noi.
Ebbene, quando e come accade tutto questo? E anche: quando e come non accade?
Una chiave di lettura potrebbe essere questa: non siamo solo noi a desiderare una vita bella e feconda. Insieme a noi, e anche prima di noi, è Dio stesso a desiderarlo.
Dio desidera per noi una vita buona, proprio come ogni padre lo desidera per i suoi figli.
Ma non basta desiderarlo: la vita, per portare frutto, ha bisogno di alcune condizioni, di un aiuto, di qualcosa che rende possibile la crescita e la fecondità.
E di questi elementi, il Vangelo ne sottolinea alcuni.
Il primo elemento è quello che ruota intorno al termine “rimanere”: un tralcio non può far frutto da solo, senza una vigna che lo faccia vivere.
La prima condizione per una vita piena è sapere che questa vita non è nostra, che ci è data, che possiamo solo accoglierla. La vita cristiana non è un crescere fino a diventare indipendenti, fino al punto di pensare di potercela fare da soli, senza aver bisogno dell’aiuto degli altri, dell’aiuto di Dio.
È esattamente il contrario: la vita cristiana cresce tanto quanto si diventa accoglienti della vita di Dio, tanto quanto si è consapevoli che senza di Lui non possiamo fare nulla (Gv 15,5).
Si tratta allora di rimanere in una vita più grande di noi, nella vita di Dio.
E perché questo accada, la strada è quella di accogliere la Parola, di rimanere in ascolto: Gesù dice infatti che rimaniamo in Lui tanto quanto le sue parole rimangono in noi (Gv 15,7). Se la sua Parola è per noi importante e preziosa, come la parola di una persona amata, se ad essa ci affidiamo, se le diamo credito, allora diventiamo con Lui una cosa sola: abbiamo lo stesso modo di pensare, di vedere, di giudicare la vita.
Gesù aggiunge che se rimaniamo in Lui, allora possiamo chiedere tutto (Gv 15,7). Cosa significa?
Forse significa che se ascoltiamo, se la nostra vita rimane nel Signore, allora scopriamo cosa veramente vale, cosa è quel “tutto” che ci fa vivere.
Scopriamo che non abbiamo bisogno di tutto, ma solo tutto ciò che è bene, per noi e per gli altri
E impariamo pian piano a chiedere questo; questo diventa tutto il nostro desiderio.
Tutto il resto va tagliato, va potato (Gv 15,2). Ed ecco che arriviamo allora al secondo elemento, quello della potatura: la potatura è fondamentale perché un albero porti frutto, e non chiunque può farla. Una persona inesperta può rovinare l’albero e impedirgli di portare frutti buoni.
Perché porti frutto, la vite non ha bisogno di tutti i rami, ma solo di quelli buoni: gli altri tolgono linfa, tolgono vita, e vanno tagliati.
Ebbene, per rimanere nella vita con il Signore è necessario accogliere questa sua continua cura, questo suo provare a liberarci da tutto ciò che dissipa la nostra esistenza.
Tanti sono i mezzi che Lui utilizza per riportarci a quella purezza (Gv 15,3) di vita necessaria per portare un frutto genuino; ma, di nuovo, il più efficace è sempre la Parola, che è come una spada a doppio taglio (Eb 4,12), capace di separare ciò che è vero, autentico, puro appunto, da ciò che non lo è e che, quindi, non porta frutto.
+ Pierbattista
Un canto per meditare e lodare il Signore.
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