Per vivere con fede questa settimana santa proponiamo delle riflessioni sulle 7 Parole di Gesù sulla croce. Sono riflessioni che vengono dalla Colombia che alcune comunità cristiane usano la sera del Venerdì Santo. Le ho trovate profonde.
1. “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34)
Quando raggiunsero il luogo chiamato Golgota, crocifissero Gesù e i due malfattori, uno alla sua destra e uno alla sua sinistra. Gesù disse: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che stanno facendo.
Non c’è dubbio che ci troviamo di fronte a una delle frasi più commoventi di tutta la storia; un cuore che ama tanto da poter chiedere misericordia per i suoi carnefici nel momento massimo del dolore e della sofferenza. Lo dice bene san Giovanni, “avendo amato i suoi li amò sino alla fine” (Gv 3,16). All’estremo di dare la sua vita, e in mezzo al dolore di pronunciare quelle parole. Questo è ciò che fa il vero amore; non calcola, non pone limiti, non dubita, semplicemente si arrende. Il vero amore può fare tutto, non ha barriere; Se le ha, allora non è amore. Così deve essere il mio amore per Cristo, deve portarmi a dare tutto, anche la mia vita, a donarmi totalmente senza calcolare se mi va o no. Sono chiamato a raggiungere quel livello di amore, ecco perché devo cominciare d’ora in poi, a essere nel piccolo, amare nel piccolo, per arrivare ad amare nel molto, nel grande, nell’eroico. Ma per questo, devo mettere più amore nella mia vita ogni giorno, facendo tutte le mie azioni con amore. Metti l’amore nella tua vita e tutto andrà meglio. Gesù aveva davvero ragione. Se potessimo capire cos’è il peccato, cosa provoca e come ferisce Dio, non continueremmo a farlo. Se potessimo capire di cosa si tratta, lo odieremmo. Per darci un’idea, è sufficiente dedicare qualche istante a contemplare la passione di Cristo. Chiudi gli occhi e ricordati di quel Cristo che ha finito la flagellazione, che gocciola sangue dalle spine che gli trafiggono il cranio, che è inchiodato alla croce. Contempla tutto il dolore e la sofferenza che Gesù sopporta e pensa che avrebbe sofferto lo stesso per un solo peccato. Esatto, per un solo peccato mortale sarebbe valsa la pena sopportare tutto quel dolore.
Fortunatamente per noi, la misericordia di Dio è infinita ed è più grande di tutti i peccati del mondo messi insieme, quindi non devo mai cadere nella disperazione o nella desolazione, pensando che Dio non può perdonarmi. Posso essere certo che Dio mi ama e mi perdona tutto, che Cristo è stato inchiodato a quella croce per amore mio, per cancellare il mio peccato, e che in quel momento stava chiedendo al Padre di perdonare il mio peccato. Dio conosce la nostra miseria, la nostra debolezza, ma non le presta attenzione. Dio non vede in me il peccatore che sono, ma il santo che sono chiamato ad essere. Vuole condurmi a essere quel santo, ma devo lasciarlo agire.
Dio è già santo per essenza, è totalmente Santo e Perfetto; Non ha bisogno di me e la mia vita non può dargli maggiore o minore gloria. Per questo motivo a lui non interessa il mio risultato, ciò che conta per lui è la mia lotta sincera per essere una persona migliore, la mia lotta sincera per essere perfetto.
Per questo si è inchiodato a quella croce, per poter avere le sue braccia sempre aperte per ricevermi, in qualsiasi momento io voglia andare da lui.
Il frutto che devo ottenere contemplando la Passione di Cristo non è la paura, non direi nemmeno che mi concentro sul dolore; quello che devo ottenere è la conversione, concentrarmi sull’amore e, come il centurione che stava ai piedi della croce e contemplò tutto questo in prima fila, devo esclamare: “Questo era veramente il Figlio di Dio”. Perché chi altri, se non Dio, potrebbe gridare dalla croce “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che stanno facendo”
SIGNORE GESÙ: quando il dolore mi soffoca, quando non capisco il “perché” di tante circostanze che mi feriscono e la mia mente è in fermento di domande senza risposta umana, insegnami, non solo a perdonare, ma a ciò che è più difficile: chiedere scusa, dimenticare, ricominciare, rinnovare la fiducia, fare l’amore nuovo … Davvero. A cuore aperto. Con leale integrità. INSEGNAMI, SIGNORE!
2. «Ti assicuro: oggi sarai con me in Paradiso». (Lc 23,39-43)
Uno dei malfattori appeso alla croce lo insultava: “Se sei il Messia, salva te stesso e salva anche noi!” Ma l’altro rimproverava il suo compagno dicendo: “Non hai paura di Dio, tu che sei sotto la stessa punizione?” Stiamo soffrendo con ogni ragione, perché stiamo pagando la giusta punizione per quello che abbiamo fatto; ma quest’uomo non ha fatto niente di male. Poi aggiunse: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”. Gesù rispose: “Ti assicuro che oggi sarai con me in paradiso
Ci troviamo davanti a uno dei passaggi più belli e allo stesso tempo contraddittori dell’intero Vangelo. Raramente vediamo contrasti così grandi nello stesso passaggio come lo vediamo qui. Che differenza di atteggiamenti tra i due ladri! Si esige che Gesù scenda dalla croce e lo faccia scendere, sembra addirittura che lo biasimi e lo incolpi della sua sofferenza. Come quelle persone che incolpano Dio per le disgrazie che li colpiscono e lo rimproverano, come se fosse colpa sua, senza rendersi conto che sicuramente se la sono cercata, e che non è altro che la conseguenza del loro azioni. Dimas, il cosiddetto “buon ladrone”, ha invece un atteggiamento totalmente diverso, un atteggiamento umile, pentito e pieno di speranza; tre virtù chiave per la conversione.
1. Umiltà: riconoscere che ho fallito, ingoiare il mio orgoglio, riconoscere il mio errore e poter chiedere perdono.
2. Pentimento: vedere il mio errore dovrebbe portarmi al rimpianto, al dolore e dovrebbe accendere in me la forza che mi porta al cambiamento.
3. Speranza: sapere che Cristo non può resistere a un cuore umile e pentito, questa è la sua debolezza. Possiamo sempre essere sicuri che la misericordia di Dio è infinita e non c’è nulla che non possa perdonare. Cristo ha già dato la sua vita per i nostri peccati, sono tutti pagati e tutti i conti sono saldati, tutti i peccati sono perdonati, è sufficiente che io mi penti e chieda perdono, e Lui non mi rinnegherà mai. Non c’è peccato più grande della misericordia di Dio.
Il card. Van Thuan, negli Esercizi spirituali che ha predicato a Giovanni Paolo II nel 2000, parla dei “difetti” di Gesù, e il primo è che Gesù ha una pessima memoria. Una volta che abbiamo chiesto perdono, Gesù dimentica per sempre tutte le offese che gli abbiamo fatto. Qui ci mostra la cattiva memoria che ha, dimenticando l’intera vita di peccato di Dimas; una vita di peccati, il pentimento all’ultimo momento e tutto viene cancellato. Lo diceva bene sant’Agostino: “Oh Dimas, eterno ladro, per tutta la vita hai rubato e alla fine hai fatto la rapina più bella di tutte: hai rubato il paradiso”.
Il primo ad entrare in paradiso è stato un ladro! Questo perché potessimo vedere che la redenzione e la salvezza sono universali e che siamo tutti chiamati ad andare in paradiso, e non solo a guarire. Gesù stesso ha detto: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati, per questo non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori” (Mt 9, 12-13; Mc 2,17).
Gesù ha sofferto tutta la passione per te e il tuo peccato, cos’altro può fare per dimostrarti che ti ama? Cos’altro deve fare per dimostrarti che ti ama? Cos’altro deve fare per mostrarti che la sua misericordia è infinita e che può superare tutti i tuoi peccati e tutti i peccati messi insieme?
Gesù porta il suo amore all’estremo e dà tutto per te, apri la porta del tuo cuore. Non aspettare l’ultimo momento come il buon ladrone, perché non sai quando sarà; inizia oggi, non lasciarlo per domani. Una delle frasi che ho sentito di più da Giovanni Paolo II e che ricordo di più è: “Giovani, non abbiate paura, spalancate le porte del vostro cuore a Cristo” e vi chiedo, cos’altro deve fare Gesù perché tu apra il tuo cuore?
SIGNORE GESÙ: Aiutami a riconoscere le mie mani vuote, a rivolgermi a Te ad ogni caduta, ad arrendermi a Te per amore. Un amore che si affida interamente alla tua misericordia. Dammi, Signore, un povero cuore che mi permetta di essere “un buon ladro”, cioè “un buon peccatore”. E dammi, soprattutto, consapevolezza della gratuità dei tuoi doni. AMEN.
3. «Donna, ecco tuo figlio; figlio, ecco tua madre »(Gv 19, 26-27)
Accanto alla croce di Gesù c’erano sua madre, e la sorella di sua madre, Maria, moglie di Cleopa, e Maria Maddalena. Quando Gesù vide sua madre, e accanto a lei il discepolo che amava molto, disse a sua madre: “Donna, ecco tuo figlio. Poi disse al discepolo: “Ecco tua madre”.
Qui Gesù compie un enorme gesto di affetto verso sua Madre e un immenso gesto di carità verso l’umanità. Cercheremo di capire tutto ciò che questa frase semplice e allo stesso tempo profonda implica.
Maria era già vedova e ora stava perdendo il suo unico parente. Per gli ebrei era molto disdicevole che una donna fosse lasciata sola, era un segno di una maledizione, e Gesù lo sapeva perfettamente e non vuole mettere questo fardello sulle spalle di Maria, non vuole caricarla di questo peso, ecco perché compie questo gesto squisito nei confronti di sua madre affidandola alle cure di qualcun altro. Sarebbe illogico per Dio permettere che la donna che ha scelto per essere sua madre fosse considerata maledetta, abbandonata da Dio. Per questo, anche in mezzo al dolore, Gesù non smette di preoccuparsi per sua Madre. E chi altro potrebbe essere il prescelto se non il discepolo amato. In ogni caso, affidandola a uno dei figli di Zebedeo, avrebbe dovuto essere il più anziano, Giacomo, ma Gesù lascia la tutela a Giovanni. Giovanni è l’unico dei discepoli che è ai piedi della croce, e potremmo pensare che in cambio della sua fedeltà Gesù gli dia il dono più prezioso che aveva qui sulla terra; sua madre. Ma dobbiamo vedere ben oltre il “premio”. Gesù lo mette nelle mani di Giovanni per mostrarci come dovrebbe essere il nostro rapporto con Maria. Giovanni era il discepolo più gentile e affettuoso, ed è così che Gesù vuole che sia il nostro rapporto con nostra Madre, un rapporto filiale, tenero, amorevole, fiducioso, come con una vera madre; Gesù vuole che la trattiamo come nostra madre.
Dobbiamo vedere che è una frase bidirezionale; “Ecco tuo figlio; Ecco tua madre “. Perché dirlo in entrambi i modi? Non bastava affidare sua Madre alle cure del discepolo? No! Perché non era l’unica cosa che Gesù stava cercando, non era solo un dettaglio per Maria, era anche per tutta l’umanità. Nella persona di Giovanni siamo rappresentati tutti i credenti di tutti i tempi, tutti noi che siamo stati redenti da Gesù, tutti noi che accettiamo il suo messaggio e la sua salvezza, e tutti noi che accettiamo Gesù accettiamo Maria come nostra Madre. Gesù dalla croce, prima di morire, ci fa uno dei doni più grandi; ci regala sua mamma.
Maria è una vera Madre, e ha un cuore materno, un cuore generoso, devoto, altruista, aperta a tutti, attenta ai bisogni degli altri. Non c’è dubbio che Maria abbia il cuore di una Madre e che come tale cercherà sempre il meglio per noi. Perciò mettiamoci nelle sue mani e lasciamo che sia lei a condurci a Dio, e arriveremo sani e salvi.
SIGNORE GESÙ: Possa il dolore non aumentare il mio egoismo, che la sofferenza non mi faccia piegare su di me stesso … Apri tutti i pori del mio essere in modo che possano essere attraversati del mio sangue fino all’ultima goccia, fino all’ultimo respiro della mia vita. E di me non resti altro che la possibilità di chiamarti: MIA VITA!
4. “Mio Dio, mio Dio! Perché mi hai abbandonato? ” (Mt 27,46; Mc 15,34)
Da mezzogiorno alle tre del pomeriggio, tutta la terra era al buio. A quella stessa ora, Gesù gridò ad alta voce: “Eli, Eli, lemá sabactani?” (cioè: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”) Alcuni di quelli che erano lì lo udirono e dissero: “Sta chiamando il profeta Elia”.
Senza dubbio, siamo di fronte a una delle parole più sconcertanti del Vangelo e la più difficile da capire … Dio ha abbandonato Gesù sulla croce? Se Gesù era Dio, perché ha detto queste parole? Se Gesù e Dio sono la stessa persona con lo Spirito Santo, come può il Padre abbandonare il Figlio? Cosa vuole dirci qui? Queste sono solo alcune delle migliaia di domande che potrebbero venire in mente quando ci fermiamo a questa frase.
La prima cosa che possiamo vedere è che è la frase con cui inizia il Salmo 22, che parla del silenzio di Dio, dell’anima che nell’angoscia non può ascoltare Dio.
Con questa frase Gesù ci ricorda e ci mostra che è perfettamente umano, nella misura in cui può sentire il silenzio di Dio. Ci sono momenti nella vita in cui Dio si nasconde e sembra essere scomparso, sembra che se ne sia andato e si sia dimenticato di noi, tuttavia, da dove è nascosto, ci sta guardando. È come il papà che si nasconde per vedere come reagisce il suo bambino quando vede che è solo. Ovviamente non lo lascera solo, non andrà da nessuna parte e non gli stacca gli occhi di dosso, ma il bambino non se ne accorge e si sente abbandonato. Così è con Dio; Ci sono momenti nella vita, momenti di per sé duri, in cui Dio sembra ritirarsi, ma è solo una prova. Dio vuole vedere quanto ci fidiamo di Lui, ecco perché ci mette queste prove.
In quei momenti Dio ci permette di vedere la nostra miseria e sperimentare la nostra piccolezza, così da poter correre tra le sue braccia e fidarci di lui e solo di lui, e non fidarci delle nostre stesse forze.
Questa è l’unica volta in tutto il Vangelo che Gesù lo chiama Dio e non Padre, perché sente quel silenzio da parte di Dio. La sua natura umana sta sperimentando il silenzio di Dio, la lontananza della piccolezza umana dalla grandezza divina, sta vivendo la miseria umana nella propria carne perché possiamo crescere
È nei momenti più duri e difficili in cui ci rendiamo conto del nostro nulla e della nostra impotenza, ed è in quei momenti che arrivano la frustrazione e le lacrime. Quel bambino, vedendosi solo, comincia a piangere inconsolabilmente, ed è questo che fa tornare suo padre e correre in suo aiuto, perché gli si spezza il cuore, non può vedere suo figlio soffrire così. La stessa cosa accade con Dio; Quello che più gli piace di noi è la nostra miseria, si è innamorato della nostra piccolezza, per questo non può resistere a un cuore umile. Tutto il bene che abbiamo non è altro che opera della sua grazia, l’unica cosa veramente nostra è la nostra piccolezza. È ironico che la nostra più grande forza sia la nostra stessa debolezza. Lo dice bene San Paolo: “Quando sono debole è allora che sono forte” (Co 12,10).
Dio a volte ci permette di vedere la nostra miseria così che, abbandonandoci tra le sue braccia, saremo forti. Gesù continua a insegnarci fino agli ultimi istanti della sua vita, e approfitta di questo momento in cui è debole ed esausto per lasciarci un insegnamento d’oro. Cosa fare prima del silenzio di Dio? Cosa fare quando vedi la mia miseria? Cosa fare con la mia piccolezza? Ripeti con Gesù le sue seguenti parole: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” (Lc 23,46).
SIGNORE GESÙ: aiutami a cercarti nella notte, a gridare a te nel silenzio doloroso e senza nemmeno l’eco … a credere, sì, a credere che è il tuo amore che mi associa alla tua passione
5. “Ho sete” (Gv 19,28)
Dopodiché, poiché Gesù sapeva che tutto era già stato adempiuto, e affinché la Scrittura si adempisse, disse: “Ho sete”. Là c’era una brocca piena di aceto. Intinsero una spugna nell’aceto, la legarono a un bastone di issopo e la portarono alla bocca. Gesù bevve l’aceto e disse: “Tutto è compiuto”. Poi chinò il capo ed emise lo spirito.
In due sole parole, Cristo ci apre un intero orizzonte dalla croce e ci invita a collaborare con lui nel suo progetto di redenzione.
La prima cosa che voglio fare è differenziare i due tipi di sete che Cristo ha provato in quel momento.
1. Sete fisica: Cristo aveva davvero sete; Non possiamo dimenticare che era perfettamente umano e che voleva liberamente assumere le debolezze e le esigenze umane e legarsi alle leggi della natura. Ci piace pensare a Cristo come a un Dio, e va bene, perché lo è, ma non possiamo dimenticare che è anche un uomo. Ha assunto un corpo umano e per questo si è stancato (Gv 4,6), gli ha fatto venire fame (Mt 4,2; Lc 4,2), ha dormito (Mt 8,24), ha pianto (Gv 11,35), ha avuto sete (Gv 4,7, 19,28).
Dobbiamo capire che siamo già negli ultimi istanti della vita di Gesù, aveva già perso quasi tutto il suo sangue. Non sono un medico, e grazie a Dio non ho mai sanguinato, ma ho letto che quando una persona sanguina inizia a sentire una sete insaziabile, che l’unica cosa che la porta via è una trasfusione di sangue.
Umanamente era sfinito da così tante punizioni, il suo corpo stava raggiungendo il limite, ma la sua anima no; il suo corpo sembrava non dare di più, ma la sua anima aveva ancora molto da dare. Per “saziarlo” i soldati gli portarono una spugna bagnata nell’aceto (Mt 27,48; C 15,36; Lc 23,36; Jn 19,29) Che bevanda amara gli diedero da bere! Oggi Gesù vi chiede da bere, non offritegli un sorso di aceto, offritegli un bicchiere di acqua fresca che possa davvero dissetargli! Offrigli il tuo sangue per placare la sua sete! Ma questa sete, più che fisica, è spirituale.
2. Sete spirituale: La sete che ha Cristo è una sete che esige la sua anima, più che il suo corpo, una sete di amore, gratitudine, giustizia, per anime che non rimangono indifferenti al suo amore, per anime che si convertono, anime impegnate. Ha sete che tu lo veda e non rimanga indifferente come la maggior parte delle persone ed è per questo che ti chiede di dargli da bere con il tuo amore e con la tua dedizione. Oggi ti dice come ha detto alla Samaritana; “Dammi da bere” (Gv 4,7). Dagli da bere con le tue parole, con le tue azioni, con la tua buona volontà, con la tua lotta per la santità. Pensa che ha dato tutto per te e ora ha bisogno; Non lo aiuterai? Gli negherai quello che ti chiede? … E cosa ti chiede Gesù con queste parole? Ti chiede la tua sincera lotta per la santità: ha sete di persone che prendono sul serio la santità e che si sentono corredentrici con lui, e che, vedendolo inchiodato sulla croce, non possono restare indifferenti; ha sete di persone che fanno di tutto per il suo amore.
Madre Teresa di Calcutta ha iniziato la sua opera perché ha visto Cristo in un vagabondo che le ha detto “ho sete” e lei sarebbe potuta rimanere la stessa. Oggi, come a lei, e come duemila anni fa, ti vede e dice “Ho sete”. Cosa gli offri? Una spugna con aceto, una bevanda amara?, O un bicchiere d’acqua, riempito con l’acqua della santità, della lotta, dell’amore, dell’abbandono. Una trasfusione di sangue, come i martiri, fedeltà vivente fino al martirio se necessario. Cristo in questa Settimana Santa ti chiede di dissetare la sua sete, la sete che il mondo non vuole placare. Oggi ti dice, proprio come ha detto a Santa María Margarita Alacoque: “Almeno tu amami”
SIGNORE GESÙ: dammi una sete insaziabile per placare la tua sete. Non stancarti di chiedermi: dammi da bere, dammi da bere. Brucia le mie labbra con le tue labbra bruciate finché il segno della tua sete rimane sulla mia carne. E che io sappia soffrire e accarezzare la ferita bruciante del tuo contatto. Un’ustione che non guarirà mai: te stesso.
6. “Tutto è compiuto.” (Gv 19:30)
Gesù bevve l’aceto e disse: “Tutto è compiuto”. Poi chinò il capo ed emise lo spirito.
Dio, da tutta l’eternità, ha pensato a me e alla missione che mi avrebbe affidato, e per questo che mi ha reso adatto per essa. Nessun altro può compiere la mia missione, e io sono fatto su misura per quella missione; Dio mi ha reso perfetto per quella missione, con tutti i miei difetti, che devo accettare e cercare di migliorare.
E qual è questa missione? … Essere un testimone di Cristo!
Per questo mi aiuterò con l’immagine della lampada rossa che è accesa presso ogni tabernacolo, che si chiama appunto in spagnolo: Testimone. Presso ogni tabernacolo deve esserci un segno che indichi che Gesù è lì presente sacramentalmente. Pertanto la lampada ( il testimone) sta a fianco di Cristo a tempo pieno. Anch’io devo essere sempre al fianco di Cristo, anche se non è possibile essere fisicamente a fianco dell’Eucaristia tutto il giorno, devo essere spiritualmente unito a Lui, essere in costante presenza di Lui, e soprattutto devo cercare di conoscerlo nella preghiera; Se non lo conosco non posso farlo conoscere, quindi devo cercare di fare l’esperienza personale di Cristo nella mia vita, perché se non l’ho trovato, non posso farlo trovare agli altri, se non parlo con lui , Non potrò parlare agli altri di Lui. Qual è la missione primaria del testimone? La sua missione è indicare che Cristo è lì. Quando entro in una chiesa, o in una cappella, e vedo una candela rossa, so che c’è Cristo Eucaristia. La missione del testimone è indicare la presenza di Cristo, indicare la via verso di lui, accompagnare sempre a Cristo eucaristico. Devo essere così, devo essere così unito a Cristo che quando mi vedono possono localizzarlo.
Il lampada si sta gradualmente consumando, la cera si sta sciogliendo e la vita della candela a poco a poco giunge al termine. Si consuma nel dare la sua vita perché gli altri lo raggiungano, perché gli altri lo trovino Alla fine della sua vita il testimone può dire che tutto è compiuto, che è rimasto fedele, ho realizzato la mia missione. Ma si può anche dire che tutto si è consumato, ho dato tutto, non ho tenuto niente per se, la testimonianza si è consumata totalmente al servizio di Cristo. Devo essere così, devo consumare la mia vita al servizio di Dio e degli altri. Ogni giorno muoio un poco, è inevitabile, e perché lo faccio, per chi lo faccio, che significato do alla mia vita? A che serve la mia vita? Ogni giorno mi consumo a poco a poco, ma non deve essere solo fisicamente, devo anche consumare il mio egoismo, il mio orgoglio, la mia superbia, i miei difetti, fino a quando non riesco a consumarli tutti e rimanere pulito, e poter dire, tutto è consumato, e tutto è compiuto, ho obbedito.
Sono chiamato ad essere la luce del mondo (Mt 5,14), ma per essere la luce del mondo devo prima essere la candela del tabernacolo. Come quella lampada, anch’io devo essere fonte di luce e calore per gli altri, ma per questo devo prima riempirmi di luce e calore, e questo si può ottenere solo nella preghiera e nell’Eucaristia.
Questa Settimana Santa è un buon momento per iniziare quella vita di preghiera e di Eucaristia che Dio si aspetta da me. Cristo si è consumato tutto per me, si è offerto in olocausto per il mio amore e ha dato tutto, senza calcoli, senza misure, senza riserve; Non posso fare di meno per Lui, devo dargli tutto, consumare tutto, e così potrò arrivare alla fine della mia vita e dire, tutto si è consumato, ma anche, tutto è compiuto. Ho dato tutto e tutto è compiuto
SIGNORE GESÙ: insegnami a obbedire. Insegnami a vedere, attraverso le mediazioni umane, la volontà del Padre. Rendimi duttile e malleabile, come l’acqua sempre a suo agio in qualsiasi bicchiere. Non importa la forma o la materia. Solo il mio adattamento al tuo amore conta. Saper prendere in ogni momento la forma della tua volontà, poter dire alla fine della mia vita, quando vieni a esaminarmi sull’ amore: “tutto è compiuto.
7. “Padre, nelle tue mani metto il mio spirito” (Lc 23,46)
Gesù gridò forte e disse: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito!” E detto questo, morì. Quando il centurione romano vide quello che era successo, lodò Dio, dicendo: “In verità, quest’uomo era innocente. L’intera folla che era presente e ha visto cosa era successo, se n’è andò picchiandosi il petto.
Abbiamo appena visto come Gesù, sentendosi solo, sentendosi dimenticato, si abbandona nelle mani del Padre e lascia tutto nelle sue cure. Dobbiamo fare lo stesso e saremo sicuri che non ci mancherà.
Dio sa perfettamente chi sono e come sono. Lui sa cosa c’è dentro di me, sonda le menti e penetra nei cuori. Sa perfettamente cosa c’è in me, cosa sento, cosa penso, cosa voglio, anche se non glielo dico. Sa molto meglio di me di cosa ho bisogno, cosa è bene per me, cosa mi aiuterà. I suoi piani sono sempre migliori dei miei anche se non vuoi accettarlo; Il peggior piano di Dio per me sarà sempre migliore del miglior piano che ho per me. Ecco perché dobbiamo abbandonarci tra le sue braccia.
Ma cosa significa abbandonarsi alle sue braccia? Come si fa ? Cosa significa? Significa rinunciare alla mia libertà, alla mia volontà e lasciare che Lui mi guidi. Significa ripetere ogni giorno nella preghiera “Signore prendi la mia libertà, la mia memoria, la comprensione e la volontà, tutti i miei beni, tu me li hai dati e a te Signore li restituisco. Tutto è tuo, disponi di me secondo la tua volontà, dammi il tuo amore e la tua grazia e questo mi basta “.
Abbandonarmi tra le sue braccia è lasciare il mio egoismo, le mie passioni, i miei capricci, il mio orgoglio, la mia superbia, la mia volontà, uscire da me e correre tra le sue braccia che sempre aperte mi aspettano.
Dio ha il cuore di un Padre, e quindi devo abbandonarmi alle sue braccia come un bambino tra le braccia di suo padre. Finché il bambino è tra le braccia del padre, si sente al sicuro, non gli può succedere niente, non c’è pericolo per lui, può dormire tranquillo perché sa che non gli può succedere nulla.
Ecco com’è la fiducia di un bambino in suo padre, ed è così che dovrebbe essere la nostra fiducia in Dio. Dobbiamo sapere che non importa quanto sia forte la tempesta, restiamo nel palmo della mano del Creatore e non ci può accadere nulla. Ciò che Dio mi chiede può essere solo buono. Quello che Dio mi manda può solo essere buono, anche se in quel momento non lo vedo.
È vero che siamo deboli, che siamo infelici, che non possiamo fare nulla da soli, ma è proprio questo che affascina Dio, che lo attrae per l’uomo; la sua miseria, la sua nullità, la sua piccolezza. Più siamo deboli, più siamo forti (Co 10,12),dice San Paolo, non dobbiamo dimenticarlo.
Siamo tutti pellegrini su questa terra e siamo solo di passaggio, per poter raggiungere la vera vita in Dio. Non sappiamo quando arriveremo, sappiamo solo che un giorno finirà il nostro pellegrinaggio, ma oltre a questo non sappiamo altro; andiamo come dei ciechi per tutta la vita. Lasciamo che Dio sia la nostra guida, lasciamo che ci guidi, poiché è l’unico che conosce la strada. Non ci può accadere nulla se veniamo dalla mano di Dio. Mettiamoci dunque tra le braccia di Dio come il bambino tra le braccia di suo padre, e lasciamo che sia lui a portarci e portarci dove dovremmo essere, dove vuole portarci, dove vuole che noi siamo, e possiamo essere certi che è lì dove saremo pienamente felici.
SIGNORE GESÙ: Il tuo Corpo ferito crolla completamente … Che riposo! … Cinque ferite aperte … Cinque fonti di Vita e di Grazia … Lascia che possa entrare in esse. Lasciami entrare, con gli occhi spalancati per impossessarmi del tuo mistero. Che il tuo sangue mi accechi e possa vedere solo l’amore. Il tuo amore! Amen.
Settimana Santa: Le Parole di Gesù sulla Croce
Pubblicato da Tiziano Raffaini il
Per vivere con fede questa settimana santa proponiamo delle riflessioni sulle 7 Parole di Gesù sulla croce. Sono riflessioni che vengono dalla Colombia che alcune comunità cristiane usano la sera del Venerdì Santo. Le ho trovate profonde.
1. “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34)
Quando raggiunsero il luogo chiamato Golgota, crocifissero Gesù e i due malfattori, uno alla sua destra e uno alla sua sinistra. Gesù disse: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che stanno facendo.
Non c’è dubbio che ci troviamo di fronte a una delle frasi più commoventi di tutta la storia; un cuore che ama tanto da poter chiedere misericordia per i suoi carnefici nel momento massimo del dolore e della sofferenza. Lo dice bene san Giovanni, “avendo amato i suoi li amò sino alla fine” (Gv 3,16). All’estremo di dare la sua vita, e in mezzo al dolore di pronunciare quelle parole. Questo è ciò che fa il vero amore; non calcola, non pone limiti, non dubita, semplicemente si arrende. Il vero amore può fare tutto, non ha barriere; Se le ha, allora non è amore. Così deve essere il mio amore per Cristo, deve portarmi a dare tutto, anche la mia vita, a donarmi totalmente senza calcolare se mi va o no. Sono chiamato a raggiungere quel livello di amore, ecco perché devo cominciare d’ora in poi, a essere nel piccolo, amare nel piccolo, per arrivare ad amare nel molto, nel grande, nell’eroico. Ma per questo, devo mettere più amore nella mia vita ogni giorno, facendo tutte le mie azioni con amore. Metti l’amore nella tua vita e tutto andrà meglio. Gesù aveva davvero ragione. Se potessimo capire cos’è il peccato, cosa provoca e come ferisce Dio, non continueremmo a farlo. Se potessimo capire di cosa si tratta, lo odieremmo. Per darci un’idea, è sufficiente dedicare qualche istante a contemplare la passione di Cristo. Chiudi gli occhi e ricordati di quel Cristo che ha finito la flagellazione, che gocciola sangue dalle spine che gli trafiggono il cranio, che è inchiodato alla croce. Contempla tutto il dolore e la sofferenza che Gesù sopporta e pensa che avrebbe sofferto lo stesso per un solo peccato. Esatto, per un solo peccato mortale sarebbe valsa la pena sopportare tutto quel dolore.
Fortunatamente per noi, la misericordia di Dio è infinita ed è più grande di tutti i peccati del mondo messi insieme, quindi non devo mai cadere nella disperazione o nella desolazione, pensando che Dio non può perdonarmi. Posso essere certo che Dio mi ama e mi perdona tutto, che Cristo è stato inchiodato a quella croce per amore mio, per cancellare il mio peccato, e che in quel momento stava chiedendo al Padre di perdonare il mio peccato. Dio conosce la nostra miseria, la nostra debolezza, ma non le presta attenzione. Dio non vede in me il peccatore che sono, ma il santo che sono chiamato ad essere. Vuole condurmi a essere quel santo, ma devo lasciarlo agire.
Dio è già santo per essenza, è totalmente Santo e Perfetto; Non ha bisogno di me e la mia vita non può dargli maggiore o minore gloria. Per questo motivo a lui non interessa il mio risultato, ciò che conta per lui è la mia lotta sincera per essere una persona migliore, la mia lotta sincera per essere perfetto.
Per questo si è inchiodato a quella croce, per poter avere le sue braccia sempre aperte per ricevermi, in qualsiasi momento io voglia andare da lui.
Il frutto che devo ottenere contemplando la Passione di Cristo non è la paura, non direi nemmeno che mi concentro sul dolore; quello che devo ottenere è la conversione, concentrarmi sull’amore e, come il centurione che stava ai piedi della croce e contemplò tutto questo in prima fila, devo esclamare: “Questo era veramente il Figlio di Dio”. Perché chi altri, se non Dio, potrebbe gridare dalla croce “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che stanno facendo”
SIGNORE GESÙ: quando il dolore mi soffoca, quando non capisco il “perché” di tante circostanze che mi feriscono e la mia mente è in fermento di domande senza risposta umana, insegnami, non solo a perdonare, ma a ciò che è più difficile: chiedere scusa, dimenticare, ricominciare, rinnovare la fiducia, fare l’amore nuovo … Davvero. A cuore aperto. Con leale integrità. INSEGNAMI, SIGNORE!
2. «Ti assicuro: oggi sarai con me in Paradiso». (Lc 23,39-43)
Uno dei malfattori appeso alla croce lo insultava: “Se sei il Messia, salva te stesso e salva anche noi!” Ma l’altro rimproverava il suo compagno dicendo: “Non hai paura di Dio, tu che sei sotto la stessa punizione?” Stiamo soffrendo con ogni ragione, perché stiamo pagando la giusta punizione per quello che abbiamo fatto; ma quest’uomo non ha fatto niente di male. Poi aggiunse: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”. Gesù rispose: “Ti assicuro che oggi sarai con me in paradiso
Ci troviamo davanti a uno dei passaggi più belli e allo stesso tempo contraddittori dell’intero Vangelo. Raramente vediamo contrasti così grandi nello stesso passaggio come lo vediamo qui. Che differenza di atteggiamenti tra i due ladri! Si esige che Gesù scenda dalla croce e lo faccia scendere, sembra addirittura che lo biasimi e lo incolpi della sua sofferenza. Come quelle persone che incolpano Dio per le disgrazie che li colpiscono e lo rimproverano, come se fosse colpa sua, senza rendersi conto che sicuramente se la sono cercata, e che non è altro che la conseguenza del loro azioni. Dimas, il cosiddetto “buon ladrone”, ha invece un atteggiamento totalmente diverso, un atteggiamento umile, pentito e pieno di speranza; tre virtù chiave per la conversione.
1. Umiltà: riconoscere che ho fallito, ingoiare il mio orgoglio, riconoscere il mio errore e poter chiedere perdono.
2. Pentimento: vedere il mio errore dovrebbe portarmi al rimpianto, al dolore e dovrebbe accendere in me la forza che mi porta al cambiamento.
3. Speranza: sapere che Cristo non può resistere a un cuore umile e pentito, questa è la sua debolezza. Possiamo sempre essere sicuri che la misericordia di Dio è infinita e non c’è nulla che non possa perdonare. Cristo ha già dato la sua vita per i nostri peccati, sono tutti pagati e tutti i conti sono saldati, tutti i peccati sono perdonati, è sufficiente che io mi penti e chieda perdono, e Lui non mi rinnegherà mai. Non c’è peccato più grande della misericordia di Dio.
Il card. Van Thuan, negli Esercizi spirituali che ha predicato a Giovanni Paolo II nel 2000, parla dei “difetti” di Gesù, e il primo è che Gesù ha una pessima memoria. Una volta che abbiamo chiesto perdono, Gesù dimentica per sempre tutte le offese che gli abbiamo fatto. Qui ci mostra la cattiva memoria che ha, dimenticando l’intera vita di peccato di Dimas; una vita di peccati, il pentimento all’ultimo momento e tutto viene cancellato. Lo diceva bene sant’Agostino: “Oh Dimas, eterno ladro, per tutta la vita hai rubato e alla fine hai fatto la rapina più bella di tutte: hai rubato il paradiso”.
Il primo ad entrare in paradiso è stato un ladro! Questo perché potessimo vedere che la redenzione e la salvezza sono universali e che siamo tutti chiamati ad andare in paradiso, e non solo a guarire. Gesù stesso ha detto: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati, per questo non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori” (Mt 9, 12-13; Mc 2,17).
Gesù ha sofferto tutta la passione per te e il tuo peccato, cos’altro può fare per dimostrarti che ti ama? Cos’altro deve fare per dimostrarti che ti ama? Cos’altro deve fare per mostrarti che la sua misericordia è infinita e che può superare tutti i tuoi peccati e tutti i peccati messi insieme?
Gesù porta il suo amore all’estremo e dà tutto per te, apri la porta del tuo cuore. Non aspettare l’ultimo momento come il buon ladrone, perché non sai quando sarà; inizia oggi, non lasciarlo per domani. Una delle frasi che ho sentito di più da Giovanni Paolo II e che ricordo di più è: “Giovani, non abbiate paura, spalancate le porte del vostro cuore a Cristo” e vi chiedo, cos’altro deve fare Gesù perché tu apra il tuo cuore?
SIGNORE GESÙ: Aiutami a riconoscere le mie mani vuote, a rivolgermi a Te ad ogni caduta, ad arrendermi a Te per amore. Un amore che si affida interamente alla tua misericordia. Dammi, Signore, un povero cuore che mi permetta di essere “un buon ladro”, cioè “un buon peccatore”. E dammi, soprattutto, consapevolezza della gratuità dei tuoi doni. AMEN.
3. «Donna, ecco tuo figlio; figlio, ecco tua madre »(Gv 19, 26-27)
Accanto alla croce di Gesù c’erano sua madre, e la sorella di sua madre, Maria, moglie di Cleopa, e Maria Maddalena. Quando Gesù vide sua madre, e accanto a lei il discepolo che amava molto, disse a sua madre: “Donna, ecco tuo figlio. Poi disse al discepolo: “Ecco tua madre”.
Qui Gesù compie un enorme gesto di affetto verso sua Madre e un immenso gesto di carità verso l’umanità. Cercheremo di capire tutto ciò che questa frase semplice e allo stesso tempo profonda implica.
Maria era già vedova e ora stava perdendo il suo unico parente. Per gli ebrei era molto disdicevole che una donna fosse lasciata sola, era un segno di una maledizione, e Gesù lo sapeva perfettamente e non vuole mettere questo fardello sulle spalle di Maria, non vuole caricarla di questo peso, ecco perché compie questo gesto squisito nei confronti di sua madre affidandola alle cure di qualcun altro. Sarebbe illogico per Dio permettere che la donna che ha scelto per essere sua madre fosse considerata maledetta, abbandonata da Dio. Per questo, anche in mezzo al dolore, Gesù non smette di preoccuparsi per sua Madre. E chi altro potrebbe essere il prescelto se non il discepolo amato. In ogni caso, affidandola a uno dei figli di Zebedeo, avrebbe dovuto essere il più anziano, Giacomo, ma Gesù lascia la tutela a Giovanni. Giovanni è l’unico dei discepoli che è ai piedi della croce, e potremmo pensare che in cambio della sua fedeltà Gesù gli dia il dono più prezioso che aveva qui sulla terra; sua madre. Ma dobbiamo vedere ben oltre il “premio”. Gesù lo mette nelle mani di Giovanni per mostrarci come dovrebbe essere il nostro rapporto con Maria. Giovanni era il discepolo più gentile e affettuoso, ed è così che Gesù vuole che sia il nostro rapporto con nostra Madre, un rapporto filiale, tenero, amorevole, fiducioso, come con una vera madre; Gesù vuole che la trattiamo come nostra madre.
Dobbiamo vedere che è una frase bidirezionale; “Ecco tuo figlio; Ecco tua madre “. Perché dirlo in entrambi i modi? Non bastava affidare sua Madre alle cure del discepolo? No! Perché non era l’unica cosa che Gesù stava cercando, non era solo un dettaglio per Maria, era anche per tutta l’umanità. Nella persona di Giovanni siamo rappresentati tutti i credenti di tutti i tempi, tutti noi che siamo stati redenti da Gesù, tutti noi che accettiamo il suo messaggio e la sua salvezza, e tutti noi che accettiamo Gesù accettiamo Maria come nostra Madre. Gesù dalla croce, prima di morire, ci fa uno dei doni più grandi; ci regala sua mamma.
Maria è una vera Madre, e ha un cuore materno, un cuore generoso, devoto, altruista, aperta a tutti, attenta ai bisogni degli altri. Non c’è dubbio che Maria abbia il cuore di una Madre e che come tale cercherà sempre il meglio per noi. Perciò mettiamoci nelle sue mani e lasciamo che sia lei a condurci a Dio, e arriveremo sani e salvi.
SIGNORE GESÙ: Possa il dolore non aumentare il mio egoismo, che la sofferenza non mi faccia piegare su di me stesso … Apri tutti i pori del mio essere in modo che possano essere attraversati del mio sangue fino all’ultima goccia, fino all’ultimo respiro della mia vita. E di me non resti altro che la possibilità di chiamarti: MIA VITA!
4. “Mio Dio, mio Dio! Perché mi hai abbandonato? ” (Mt 27,46; Mc 15,34)
Da mezzogiorno alle tre del pomeriggio, tutta la terra era al buio. A quella stessa ora, Gesù gridò ad alta voce: “Eli, Eli, lemá sabactani?” (cioè: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”) Alcuni di quelli che erano lì lo udirono e dissero: “Sta chiamando il profeta Elia”.
Senza dubbio, siamo di fronte a una delle parole più sconcertanti del Vangelo e la più difficile da capire … Dio ha abbandonato Gesù sulla croce? Se Gesù era Dio, perché ha detto queste parole? Se Gesù e Dio sono la stessa persona con lo Spirito Santo, come può il Padre abbandonare il Figlio? Cosa vuole dirci qui? Queste sono solo alcune delle migliaia di domande che potrebbero venire in mente quando ci fermiamo a questa frase.
La prima cosa che possiamo vedere è che è la frase con cui inizia il Salmo 22, che parla del silenzio di Dio, dell’anima che nell’angoscia non può ascoltare Dio.
Con questa frase Gesù ci ricorda e ci mostra che è perfettamente umano, nella misura in cui può sentire il silenzio di Dio. Ci sono momenti nella vita in cui Dio si nasconde e sembra essere scomparso, sembra che se ne sia andato e si sia dimenticato di noi, tuttavia, da dove è nascosto, ci sta guardando. È come il papà che si nasconde per vedere come reagisce il suo bambino quando vede che è solo. Ovviamente non lo lascera solo, non andrà da nessuna parte e non gli stacca gli occhi di dosso, ma il bambino non se ne accorge e si sente abbandonato. Così è con Dio; Ci sono momenti nella vita, momenti di per sé duri, in cui Dio sembra ritirarsi, ma è solo una prova. Dio vuole vedere quanto ci fidiamo di Lui, ecco perché ci mette queste prove.
In quei momenti Dio ci permette di vedere la nostra miseria e sperimentare la nostra piccolezza, così da poter correre tra le sue braccia e fidarci di lui e solo di lui, e non fidarci delle nostre stesse forze.
Questa è l’unica volta in tutto il Vangelo che Gesù lo chiama Dio e non Padre, perché sente quel silenzio da parte di Dio. La sua natura umana sta sperimentando il silenzio di Dio, la lontananza della piccolezza umana dalla grandezza divina, sta vivendo la miseria umana nella propria carne perché possiamo crescere
È nei momenti più duri e difficili in cui ci rendiamo conto del nostro nulla e della nostra impotenza, ed è in quei momenti che arrivano la frustrazione e le lacrime. Quel bambino, vedendosi solo, comincia a piangere inconsolabilmente, ed è questo che fa tornare suo padre e correre in suo aiuto, perché gli si spezza il cuore, non può vedere suo figlio soffrire così. La stessa cosa accade con Dio; Quello che più gli piace di noi è la nostra miseria, si è innamorato della nostra piccolezza, per questo non può resistere a un cuore umile. Tutto il bene che abbiamo non è altro che opera della sua grazia, l’unica cosa veramente nostra è la nostra piccolezza. È ironico che la nostra più grande forza sia la nostra stessa debolezza. Lo dice bene San Paolo: “Quando sono debole è allora che sono forte” (Co 12,10).
Dio a volte ci permette di vedere la nostra miseria così che, abbandonandoci tra le sue braccia, saremo forti. Gesù continua a insegnarci fino agli ultimi istanti della sua vita, e approfitta di questo momento in cui è debole ed esausto per lasciarci un insegnamento d’oro. Cosa fare prima del silenzio di Dio? Cosa fare quando vedi la mia miseria? Cosa fare con la mia piccolezza? Ripeti con Gesù le sue seguenti parole: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” (Lc 23,46).
SIGNORE GESÙ: aiutami a cercarti nella notte, a gridare a te nel silenzio doloroso e senza nemmeno l’eco … a credere, sì, a credere che è il tuo amore che mi associa alla tua passione
5. “Ho sete” (Gv 19,28)
Dopodiché, poiché Gesù sapeva che tutto era già stato adempiuto, e affinché la Scrittura si adempisse, disse: “Ho sete”. Là c’era una brocca piena di aceto. Intinsero una spugna nell’aceto, la legarono a un bastone di issopo e la portarono alla bocca. Gesù bevve l’aceto e disse: “Tutto è compiuto”. Poi chinò il capo ed emise lo spirito.
In due sole parole, Cristo ci apre un intero orizzonte dalla croce e ci invita a collaborare con lui nel suo progetto di redenzione.
La prima cosa che voglio fare è differenziare i due tipi di sete che Cristo ha provato in quel momento.
1. Sete fisica: Cristo aveva davvero sete; Non possiamo dimenticare che era perfettamente umano e che voleva liberamente assumere le debolezze e le esigenze umane e legarsi alle leggi della natura. Ci piace pensare a Cristo come a un Dio, e va bene, perché lo è, ma non possiamo dimenticare che è anche un uomo. Ha assunto un corpo umano e per questo si è stancato (Gv 4,6), gli ha fatto venire fame (Mt 4,2; Lc 4,2), ha dormito (Mt 8,24), ha pianto (Gv 11,35), ha avuto sete (Gv 4,7, 19,28).
Dobbiamo capire che siamo già negli ultimi istanti della vita di Gesù, aveva già perso quasi tutto il suo sangue. Non sono un medico, e grazie a Dio non ho mai sanguinato, ma ho letto che quando una persona sanguina inizia a sentire una sete insaziabile, che l’unica cosa che la porta via è una trasfusione di sangue.
Umanamente era sfinito da così tante punizioni, il suo corpo stava raggiungendo il limite, ma la sua anima no; il suo corpo sembrava non dare di più, ma la sua anima aveva ancora molto da dare. Per “saziarlo” i soldati gli portarono una spugna bagnata nell’aceto (Mt 27,48; C 15,36; Lc 23,36; Jn 19,29) Che bevanda amara gli diedero da bere! Oggi Gesù vi chiede da bere, non offritegli un sorso di aceto, offritegli un bicchiere di acqua fresca che possa davvero dissetargli! Offrigli il tuo sangue per placare la sua sete! Ma questa sete, più che fisica, è spirituale.
2. Sete spirituale: La sete che ha Cristo è una sete che esige la sua anima, più che il suo corpo, una sete di amore, gratitudine, giustizia, per anime che non rimangono indifferenti al suo amore, per anime che si convertono, anime impegnate. Ha sete che tu lo veda e non rimanga indifferente come la maggior parte delle persone ed è per questo che ti chiede di dargli da bere con il tuo amore e con la tua dedizione. Oggi ti dice come ha detto alla Samaritana; “Dammi da bere” (Gv 4,7). Dagli da bere con le tue parole, con le tue azioni, con la tua buona volontà, con la tua lotta per la santità. Pensa che ha dato tutto per te e ora ha bisogno; Non lo aiuterai? Gli negherai quello che ti chiede? … E cosa ti chiede Gesù con queste parole? Ti chiede la tua sincera lotta per la santità: ha sete di persone che prendono sul serio la santità e che si sentono corredentrici con lui, e che, vedendolo inchiodato sulla croce, non possono restare indifferenti; ha sete di persone che fanno di tutto per il suo amore.
Madre Teresa di Calcutta ha iniziato la sua opera perché ha visto Cristo in un vagabondo che le ha detto “ho sete” e lei sarebbe potuta rimanere la stessa. Oggi, come a lei, e come duemila anni fa, ti vede e dice “Ho sete”. Cosa gli offri? Una spugna con aceto, una bevanda amara?, O un bicchiere d’acqua, riempito con l’acqua della santità, della lotta, dell’amore, dell’abbandono. Una trasfusione di sangue, come i martiri, fedeltà vivente fino al martirio se necessario. Cristo in questa Settimana Santa ti chiede di dissetare la sua sete, la sete che il mondo non vuole placare. Oggi ti dice, proprio come ha detto a Santa María Margarita Alacoque: “Almeno tu amami”
SIGNORE GESÙ: dammi una sete insaziabile per placare la tua sete. Non stancarti di chiedermi: dammi da bere, dammi da bere. Brucia le mie labbra con le tue labbra bruciate finché il segno della tua sete rimane sulla mia carne. E che io sappia soffrire e accarezzare la ferita bruciante del tuo contatto. Un’ustione che non guarirà mai: te stesso.
6. “Tutto è compiuto.” (Gv 19:30)
Gesù bevve l’aceto e disse: “Tutto è compiuto”. Poi chinò il capo ed emise lo spirito.
Dio, da tutta l’eternità, ha pensato a me e alla missione che mi avrebbe affidato, e per questo che mi ha reso adatto per essa. Nessun altro può compiere la mia missione, e io sono fatto su misura per quella missione; Dio mi ha reso perfetto per quella missione, con tutti i miei difetti, che devo accettare e cercare di migliorare.
E qual è questa missione? … Essere un testimone di Cristo!
Per questo mi aiuterò con l’immagine della lampada rossa che è accesa presso ogni tabernacolo, che si chiama appunto in spagnolo: Testimone. Presso ogni tabernacolo deve esserci un segno che indichi che Gesù è lì presente sacramentalmente. Pertanto la lampada ( il testimone) sta a fianco di Cristo a tempo pieno. Anch’io devo essere sempre al fianco di Cristo, anche se non è possibile essere fisicamente a fianco dell’Eucaristia tutto il giorno, devo essere spiritualmente unito a Lui, essere in costante presenza di Lui, e soprattutto devo cercare di conoscerlo nella preghiera; Se non lo conosco non posso farlo conoscere, quindi devo cercare di fare l’esperienza personale di Cristo nella mia vita, perché se non l’ho trovato, non posso farlo trovare agli altri, se non parlo con lui , Non potrò parlare agli altri di Lui. Qual è la missione primaria del testimone? La sua missione è indicare che Cristo è lì. Quando entro in una chiesa, o in una cappella, e vedo una candela rossa, so che c’è Cristo Eucaristia. La missione del testimone è indicare la presenza di Cristo, indicare la via verso di lui, accompagnare sempre a Cristo eucaristico. Devo essere così, devo essere così unito a Cristo che quando mi vedono possono localizzarlo.
Il lampada si sta gradualmente consumando, la cera si sta sciogliendo e la vita della candela a poco a poco giunge al termine. Si consuma nel dare la sua vita perché gli altri lo raggiungano, perché gli altri lo trovino Alla fine della sua vita il testimone può dire che tutto è compiuto, che è rimasto fedele, ho realizzato la mia missione. Ma si può anche dire che tutto si è consumato, ho dato tutto, non ho tenuto niente per se, la testimonianza si è consumata totalmente al servizio di Cristo. Devo essere così, devo consumare la mia vita al servizio di Dio e degli altri. Ogni giorno muoio un poco, è inevitabile, e perché lo faccio, per chi lo faccio, che significato do alla mia vita? A che serve la mia vita? Ogni giorno mi consumo a poco a poco, ma non deve essere solo fisicamente, devo anche consumare il mio egoismo, il mio orgoglio, la mia superbia, i miei difetti, fino a quando non riesco a consumarli tutti e rimanere pulito, e poter dire, tutto è consumato, e tutto è compiuto, ho obbedito.
Sono chiamato ad essere la luce del mondo (Mt 5,14), ma per essere la luce del mondo devo prima essere la candela del tabernacolo. Come quella lampada, anch’io devo essere fonte di luce e calore per gli altri, ma per questo devo prima riempirmi di luce e calore, e questo si può ottenere solo nella preghiera e nell’Eucaristia.
Questa Settimana Santa è un buon momento per iniziare quella vita di preghiera e di Eucaristia che Dio si aspetta da me. Cristo si è consumato tutto per me, si è offerto in olocausto per il mio amore e ha dato tutto, senza calcoli, senza misure, senza riserve; Non posso fare di meno per Lui, devo dargli tutto, consumare tutto, e così potrò arrivare alla fine della mia vita e dire, tutto si è consumato, ma anche, tutto è compiuto. Ho dato tutto e tutto è compiuto
SIGNORE GESÙ: insegnami a obbedire. Insegnami a vedere, attraverso le mediazioni umane, la volontà del Padre. Rendimi duttile e malleabile, come l’acqua sempre a suo agio in qualsiasi bicchiere. Non importa la forma o la materia. Solo il mio adattamento al tuo amore conta. Saper prendere in ogni momento la forma della tua volontà, poter dire alla fine della mia vita, quando vieni a esaminarmi sull’ amore: “tutto è compiuto.
7. “Padre, nelle tue mani metto il mio spirito” (Lc 23,46)
Gesù gridò forte e disse: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito!” E detto questo, morì. Quando il centurione romano vide quello che era successo, lodò Dio, dicendo: “In verità, quest’uomo era innocente. L’intera folla che era presente e ha visto cosa era successo, se n’è andò picchiandosi il petto.
Abbiamo appena visto come Gesù, sentendosi solo, sentendosi dimenticato, si abbandona nelle mani del Padre e lascia tutto nelle sue cure. Dobbiamo fare lo stesso e saremo sicuri che non ci mancherà.
Dio sa perfettamente chi sono e come sono. Lui sa cosa c’è dentro di me, sonda le menti e penetra nei cuori. Sa perfettamente cosa c’è in me, cosa sento, cosa penso, cosa voglio, anche se non glielo dico. Sa molto meglio di me di cosa ho bisogno, cosa è bene per me, cosa mi aiuterà. I suoi piani sono sempre migliori dei miei anche se non vuoi accettarlo; Il peggior piano di Dio per me sarà sempre migliore del miglior piano che ho per me. Ecco perché dobbiamo abbandonarci tra le sue braccia.
Ma cosa significa abbandonarsi alle sue braccia? Come si fa ? Cosa significa? Significa rinunciare alla mia libertà, alla mia volontà e lasciare che Lui mi guidi. Significa ripetere ogni giorno nella preghiera “Signore prendi la mia libertà, la mia memoria, la comprensione e la volontà, tutti i miei beni, tu me li hai dati e a te Signore li restituisco. Tutto è tuo, disponi di me secondo la tua volontà, dammi il tuo amore e la tua grazia e questo mi basta “.
Abbandonarmi tra le sue braccia è lasciare il mio egoismo, le mie passioni, i miei capricci, il mio orgoglio, la mia superbia, la mia volontà, uscire da me e correre tra le sue braccia che sempre aperte mi aspettano.
Dio ha il cuore di un Padre, e quindi devo abbandonarmi alle sue braccia come un bambino tra le braccia di suo padre. Finché il bambino è tra le braccia del padre, si sente al sicuro, non gli può succedere niente, non c’è pericolo per lui, può dormire tranquillo perché sa che non gli può succedere nulla.
Ecco com’è la fiducia di un bambino in suo padre, ed è così che dovrebbe essere la nostra fiducia in Dio. Dobbiamo sapere che non importa quanto sia forte la tempesta, restiamo nel palmo della mano del Creatore e non ci può accadere nulla. Ciò che Dio mi chiede può essere solo buono. Quello che Dio mi manda può solo essere buono, anche se in quel momento non lo vedo.
È vero che siamo deboli, che siamo infelici, che non possiamo fare nulla da soli, ma è proprio questo che affascina Dio, che lo attrae per l’uomo; la sua miseria, la sua nullità, la sua piccolezza. Più siamo deboli, più siamo forti (Co 10,12),dice San Paolo, non dobbiamo dimenticarlo.
Siamo tutti pellegrini su questa terra e siamo solo di passaggio, per poter raggiungere la vera vita in Dio. Non sappiamo quando arriveremo, sappiamo solo che un giorno finirà il nostro pellegrinaggio, ma oltre a questo non sappiamo altro; andiamo come dei ciechi per tutta la vita. Lasciamo che Dio sia la nostra guida, lasciamo che ci guidi, poiché è l’unico che conosce la strada. Non ci può accadere nulla se veniamo dalla mano di Dio. Mettiamoci dunque tra le braccia di Dio come il bambino tra le braccia di suo padre, e lasciamo che sia lui a portarci e portarci dove dovremmo essere, dove vuole portarci, dove vuole che noi siamo, e possiamo essere certi che è lì dove saremo pienamente felici.
SIGNORE GESÙ: Il tuo Corpo ferito crolla completamente … Che riposo! … Cinque ferite aperte … Cinque fonti di Vita e di Grazia … Lascia che possa entrare in esse. Lasciami entrare, con gli occhi spalancati per impossessarmi del tuo mistero. Che il tuo sangue mi accechi e possa vedere solo l’amore. Il tuo amore! Amen.
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