Ultima grande festa prima di tornare al tempo ordinario. In questa festa celebriamo il dono dell’Eucarestia attraverso ilquale Gesù continua d essere presente nella chiesa e nella nostra vita. E’ il segno di un amore grande di un desdero di intimità con noi da farsi cibo per essere un tutt’uno con noi.

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Meditazione del Patriarca di Gerusalemme dei latini Pierbattista Pizzaballa

Quando il Signore ha creato l’uomo, ha pensato bene di porre in lui un’esigenza semplice ma fondamentale, che gli ricordasse sempre una cosa molto importante, ovvero di essere una creatura mancante e bisognosa.

Quest’esigenza si chiama fame.

Per vivere, l’uomo ha bisogno di nutrirsi, ha bisogno di qualcosa che sia altro da sé e che colmi il suo bisogno profondo.

Dio ha creato l’uomo affamato, fin dal primo momento della sua esistenza, e Dio ha visto che questa fame era cosa buona, perché apriva l’uomo alla fiducia, alla capacità di ricevere e, quindi, alla relazione.

La fame ci accompagna sempre, ed è segno di vita: quando non si ha più fame, la vita ci sta abbandonando, non chiede più di essere nutrita. Finché abbiamo vita, abbiamo fame.

Ma Dio non si è limitato a creare l’uomo affamato: ha creato anche il nutrimento, e ha promesso che questo cibo non sarebbe mai mancato: l’uomo poteva fidarsi, perché Dio è un Padre, e un padre non fa mai mancare il pane ai suoi figli.

Ebbene, la storia della salvezza è passata spesso attraverso questo snodo fondamentale, rivelando cosa c’era nel cuore dell’uomo.

L’uomo è stato infatti spesso chiamato a scegliere, se fidarsi oppure no; se attendere il pane del Padre, oppure se cercare di procurarselo da solo.

Il primo peccato è nato quando Adamo ed Eva hanno preferito nutrirsi da soli piuttosto che nutrirsi della relazione con il loro Creatore. E spesso, anche i litigi tra fratelli sono nati proprio da questa domanda: c’è pane per tutti nella casa del Padre?

La grande risposta a questa domanda è tutta nel brano di Vangelo di oggi (Mc 14,12-16.22-26), il racconto dell’ultima cena di Gesù con i suoi.

Siamo infatti ad un banchetto, dove c’è del pane e del vino.

Gesù prende il pane e innanzitutto benedice il Padre, perché riconosce che questo pane è un dono.

Il pane gli ricorda il Padre, gli ricorda che il Padre è fedele e non smette mai di dare la vita.

Ma poi, dopo aver benedetto, Gesù non tiene per sé il pane, non se ne nutre da solo, ma lo condivide con i suoi, perché tutti siano nutriti, e tutti facciano esperienza che il Padre nutre.

C’è una novità, però, che rende unico questo gesto.

Gesù accompagna questo gesto con una parola che dà a questo pane un senso nuovo, dicendo che questo pane è il suo corpo, che sta per essere offerto sull’altare della croce (Mc 16,22).

Il pane, con cui Dio nutre il suo popolo, è Lui stesso.

Non è solo un pane che nutre il corpo, come ogni cibo che mangiamo.

Non è solo un pane che nutre l’anima, come ogni gesto di gratuità e di amore che riceviamo.

È un pane che nutre la vita di Dio in noi, la vita dei figli che ci è data nel battesimo.

Perché questo accada, però, è necessario il coinvolgimento dei discepoli: diversi versetti di questo brano sono dedicati alla preparazione del banchetto, in cui i discepoli sono parte attiva: il verbo “preparare” ritorna tre volte, ma ritorna solo nella prima parte della pericope.

Il compito dei discepoli non è marginale: loro preparano, cioè portano il pane e il vino che è la loro vita, quella vita che il Signore assume e che offre al Padre, come restituzione gioiosa del dono ricevuto. È come un offertorio, senza il quale il Signore non avrebbe nulla da offrire.

Questa vita, offerta al Signore perché Lui la offra al Padre, è il vero cibo della nostra esistenza, ciò che ci nutre di vita eterna.

Non verrà mai a mancare, tanto quanto noi saremo capaci di portare al Signore tutta la nostra esistenza, senza tenere fuori nulla: perché sarà salvato tutto quello che avremo portato al Signore, con fiducia.

Lui lo prenderà tra le mani e lo offrirà al Padre perché venga colmato di Spirito santo

L’Eucaristia, dunque, non è solo un momento della vita di Gesù, così come non lo è della nostra: è innanzitutto uno stile. Gesù ha vissuto l’Eucaristia per tutta la vita, prendendo tra le sue mani ogni esperienza di vita, di gioia e di dolore che la gente incontrata portava a Lui, con fiducia. E tutto, sempre restituiva al Padre.

E, alla fine, tutto è entrato in quest’unico gesto di offerta e di restituzione, quello a cui anche noi partecipiamo ad ogni Eucaristia, entrando così in questo mistero, in questo grande cammino in cui tutto, attraverso le mani di Gesù, ritorna al Padre.

+ Pierbattista