Ecco altre riflessioni di Henry Nouwen per una pausa di riflessione.

7 La preghiera – Dall’ansia alla preghiera


Uno dei modi meno idonei per smetterla di angosciarci è cercare di non pensare alle cose che ci procurano quest’ansia. Non possiamo scacciare le nostre ansie con la mente. Quando giaccio nel mio letto e mi preoccupo per il prossimo incontro, non posso far cessare le mie ansie dicendomi: “Non pensare a queste cose; addormentati. Le cose si metteranno a posto domani.” La mia mente risponde semplicemente: “Come lo sai?”, e ricomincia ad angosciarsi.

L’invito di Gesù ad applicarci col cuore al suo Regno in un certo senso è paradossale. Si potrebbe interpretarlo cosi: “Se vuoi angosciarti, fallo per qualcosa per cui valga la pena. Preoccupati di cose più grandi della tua famiglia, dei tuoi amici, o dell’incontro di domani. Preoccupati delle cose di Dio: la verità, la vita, la luce!”.

Appena applichiamo il nostro cuore a queste cose la nostra mente smette di agitarsi, perché entriamo in comunione con Colui che è presente con noi qui e ora, ed è qui per darci quello di cui abbiamo più bisogno. L’ansia diventa allora preghiera, e i nostri sentimenti di impotenza si trasformano nella coscienza di essere fortificati dallo Spirito di Dio.

In verità, con l’ansia non possiamo prolungare la nostra vita, ma possiamo andare molto al di là dei confini della nostra breve esistenza e reclamare la vita eterna quali diletti figli di Dio.

Con questo le nostre ansie finiranno? Probabilmente no. Finché siamo in questo mondo, pieno di tensioni e di pressioni, la nostra mente non sarà mai libera dall’ansia, ma se siamo costanti nel tornare col cuore e con la mente all’amore di Dio che ci avvolge, allora possiamo continuare a sorridere del nostro io ansioso e a tenere occhi ed orecchi aperti alle visioni e ai suoni del Regno.

8 La Compassione – Soffrire con gli altri

La compassione è cosa diversa dalla pietà. La pietà suggerisce distanza, persino una certa condiscendenza. Io spesso agisco con pietà: do del denaro a un mendicante nelle strade di Toronto o di New York, ma non lo guardo negli occhi, non mi siedo con lui, non gli parlo. Sono troppo occupato per fare veramente attenzione all’uomo che mi si rivolge. Il mio denaro sostituisce la mia personale attenzione e mi dà una scusa per proseguire il mio cammino.

Compassione significa stare vicino a chi soffre. Ma possiamo stare vicino a un’altra persona soltanto se siamo disposti a diventare vulnerabili noi stessi. Una persona compassionevole dice: “Sono tuo fratello; sono tua sorella; sono umano, fragile e mortale, proprio come te. Non mi scandalizzo per le tue lacrime e non ho paura del tuo dolore. Anch’io ho pianto. Anch’io ho sofferto”. Possiamo essere con l’altro soltanto quando l’altro cessa di essere “altro” e diventa come noi.

È forse questa la ragione principale per cui talvolta troviamo più facile mostrare pietà che non compassione. La persona che soffre ci invita a diventare consapevoli della nostra propria sofferenza. Come posso dare risposta alla solitudine di qualcuno se non ho contatto con la mia stessa esperienza della solitudine? Come posso essere vicino a un handicappato, se rifiuto di riconoscere i miei handicap? Come posso essere col povero quando non sono disposto a confessare la mia propria povertà?

Quando rifletto sulla mia vita, mi rendo conto che i momenti di maggiore conforto e consolazione sono stati momenti in cui qualcuno mi ha detto: “Non posso toglierti il tuo dolore, non posso offrire una soluzione al tuo problema, ma posso prometterti che non ti lascerò solo e starò con te finché potrò e nel modo migliore di cui sarò capace”. Vi è molta sofferenza e molto dolore nella nostra vita, ma quale benedizione quando non dobbiamo vivere da soli il nostro dolore e la nostra sofferenza. Questo è il dono della compassione.

9 La famiglia – Il tormento dell’ansia


La gente dice: “Non ti preoccupare, tutto andrà bene”. Ma noi ci preoccupiamo e non possiamo smetterla di angosciarci soltanto perché qualcuno ce lo dice. Una delle cose che causano più sofferenza nella vita è che ci preoccupiamo molto per i nostri figli, i nostri amici, il nostro coniuge, il nostro lavoro, il nostro futuro, la nostra famiglia, il nostro paese, il nostro mondo e infinite altre cose. Conosciamo già la risposta di Gesù: “E chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un’ora sola alla sua vita?” (Mt 6,27). Sappiamo che la nostra ansia non ci aiuta e non risolve nessuno dei nostri problemi. Pure, ci angosciamo spesso, e quindi soffriamo molto. Vorremmo smetterla di stare in ansia, ma non sappiamo come fare. Anche se ci rendiamo conto che domani avremo forse dimenticato quello per cui ci eravamo tanto angosciati oggi, ci rimane tuttavia impossibile distogliere la nostra mente dall’ansia.

Mia madre, che era una donna che si curava molto degli altri e pregava molto, si angosciava parecchio, specialmente per me, per mio fratello e mia sorella. Quando ero a casa non andava mai a dormire se non era sicura che io vi avessi fatto ritorno sano e salvo. Ed era così non solo quando ero adolescente e mi piaceva far tardi con gli amici la sera, ma anche dopo che ebbi viaggiato in lungo e in largo in aereo, in treno, in autobus, trovandomi talvolta in situazioni davvero pericolose. Quando tornavo a casa, avessi diciotto o quarant’anni, mia madre se ne stava sveglia a preoccuparsi per il figlio finché non era sicura che fosse al sicuro nel suo letto!

Molti fra noi non agiscono diversamente. E allora la vera domanda è: possiamo far qualcosa per angosciarci di meno e stare più tranquilli? Se è vero che non possiamo cambiare nulla con la nostra ansia, come possiamo allora insegnare al nostro cuore e alla nostra mente a non sprecare tempo ed energie in ansiose elucubrazioni che ci fanno girare a vuoto dentro noi stessi? Gesù dice: “Cercate prima il regno di Dio”. Questo ci dà un’indicazione della giusta direzione.

10 Relazioni – Testimoni viventi dell’amore di Dio


Tutte le relazioni umane, siano esse tra genitori e figli, tra mariti e mogli, tra amanti e tra amici o tra membri di una comunità, vanno intese come segni dell’amore di Dio per l’umanità nel suo insieme e per ciascuno in particolare. È un punto di vista assai poco comune, ma è il punto di vista di Gesù. Gesù dice: “Come io vi ho amato, così anche amatevi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli” (Gv 13,34-35). E come ci ama Gesù? Egli dice: “Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi” (Gv 15,9). L’amore di Gesù per noi è la piena espressione dell’amore di Dio per noi, perché Gesù e il Padre sono uno. “Le parole che io vi dico non le dico da me; ma il Padre che è in me compie le sue opere. Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me” (Gv 14,10-11).

Queste parole sulle prime suonano molto irreali e mistificanti, ma hanno una conseguenza diretta e radicale per il modo in cui viviamo i nostri rapporti giorno per giorno.

Gesù ci rivela che siamo chiamati da Dio a essere testimoni viventi del suo amore, e lo diventiamo seguendo Gesù e amandoci a vicenda come egli ci ama. Che cosa ha da dire tutto questo al matrimonio, all’amicizia e alla comunità? Dice che la fonte dell’amore che sostiene questi rapporti non sono coloro che li vivono, ma Dio che li chiama insieme. Amarsi l’un l’altro non significa aggrapparsi all’altro per essere sicuri in un mondo ostile, ma vivere insieme in modo tale che chiunque possa riconoscerci come persone che rendono visibile l’amore di Dio nel mondo. Non soltanto ogni paternità e maternità vengono da Dio, ma anche ogni amicizia, ogni associazione nel matrimonio e ogni comunità. Quando viviamo come se i rapporti umani fossero di natura solo umana, e quindi soggetti alle trasformazioni e ai mutamenti e delle norme e dei costumi umani, non possiamo aspettarci altro che l’immensa frammentazione e alienazione che caratterizzano la nostra società. Ma quando ci appelliamo a Dio e lo reclamiamo costantemente come fonte di ogni amore, scopriremo l’amore come un dono di Dio al popolo di Dio.

11 Chi siamo – Reclamare la predilezione di Dio

La vita spirituale richiede che reclamiamo continuamente la nostra identità. La nostra vera identità è che siamo figli di Dio, diletti figli e figlie del nostro Padre celeste. La vita di Gesù ci rivela questa misteriosa verità. Dopo che fu battezzato da Giovanni nel Giordano, mentre usciva dall’acqua Gesù vide i cieli aperti e lo Spirito, in forma di colomba, che scendeva su di lui. E una voce venne dal cielo: “Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto” (Mc 1,10-11). È il momento decisivo della vita di Gesù. La sua vera identità gli viene dichiarata. Egli è il Diletto di Dio. Come tale viene inviato nel mondo affinché attraverso di lui la gente scopra e reclami la propria appartenenza a Dio.

Ma il medesimo Spirito che è disceso su Gesù e ha affermato la sua identità come Diletto Figlio di Dio, lo ha anche condotto nel deserto per essere messo alla prova da Satana. Satana gli chiese di provare che era il Figlio Diletto di Dio trasformando le pietre in pane, gettandosi dal pinnacolo del tempio per essere trasportato dagli angeli e accettando i regni del mondo. Ma Gesù resistette alla tentazione del successo, della popolarità e del potere, reclamando con forza per se stesso la propria identità.

Gesù non doveva provare al mondo di essere degno di amore. Egli era già il “Diletto” e questo gli consentiva di vivere libero dai giochi e dalle manipolazioni del mondo, sempre fedele alla voce che gli aveva parlato al Giordano. L’intera vita di Gesù fu una vita di obbedienza, di attento ascolto di colui che lo aveva chiamato “Diletto”. Tutto quel che Gesù disse e fece proveniva da quella comunione spirituale, profondamente intima. Gesù ci ha rivelato che noi esseri umani, peccatori e sbandati, siamo invitati alla medesima comunione che Gesù ha vissuto; che siamo i diletti figli e figlie di Dio, così come egli è il Figlio Prediletto; che siamo mandati nel mondo a proclamare la predilezione di Dio per tutti, così come Gesù fu mandato, e che alla fine scamperemo ai poteri distruttivi della morte, come egli vi scampò.

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